IL VARO DEL CONTE DI CAVOUR

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Un secolo fa la Marina Militare Italiana era in ritardo rispetto all’ultimo tipo di corazzate in giro allora per i mari. Più veloci, potenti e con maggior potenza di fuoco, le chiamavano «drednaught» dal nome della prima di esse, costruita in Gran Bretagna nel 1906. Per colmare il divario nel 1911, cinquantenario dell’inizio dei lavori dell’Arsenale, si vara alla Spezia la Regia Nave Conte di Cavour, una «drednaught» italiana, come la definì con orgoglio la stampa. Come data si sceglie il 10 agosto, centenario della nascita di Camillo Benso conte di Cavour. Giusto un anno prima, nello stesso giorno, se ne era impostata la chiglia sullo scalo 1 del Regio Arsenale ingrandito apposta per contenere una nave così grande. Si trovano anche soluzioni costruttive d’avanguardia, come il piano di scorrimento su cui far scivolare la nave, realizzato non più in legno, ma con riempimento di cemento. Inoltre, le taccate, i sostegni su cui si appoggia la nave in lavorazione, sono di ghisa e hanno alla sommità una cassetta piena di sabbia chiusa da tappi. Basterà rimuoverli, al momento del varo, mentre si tolgono i cunei che puntellano la nave, per fare uscire la rena e spostare la corazzata nell’invasatura, la slitta su cui scivola in acqua, trattenuta da cavi e martinetti che frenano la spinta in avanti e aiutata nella discesa da altri tiranti. Alla cerimonia dell’impostazione, ricordata da una targa apposta nell’occasione, è presente il colonnello ingegner Ferrati, l’ingegnere che dirige le costruzioni, con gli aiutanti e gli Ufficiali superiori presenti nel Dipartimento. Presiede l’ammiraglio Vittorio Moreno che, dopo aver dato il via ufficiale ai lavori, ricorda con un breve discorso la figura di Cavour e legge i telegrammi inviati dal sindaco di Torino Teofilo Rossi e dal ministro della Marina Pasquale Leonardi Cattolica. Le navi alla fonda alzano la gala e sparano le salve regolamentari, mentre uffici pubblici e consolati stranieri espongono le bandiere. Solo sul Palazzo Comunale non c’é il tricolore e il fatto suscita una polemica contro la Giunta. In ogni caso, è giorno di festa: agli arsenalotti si corrisponde l’intera giornata di lavoro, alla sera le navi in rada accendono il pavese elettrico e tutti gli stabilimenti governativi sono illuminati. Si costruisce la nave in meno di un anno, una prova brillantissima che comprova l’elevato grado di professionalità e abilità costruttiva raggiunta dalle maestranze spezzine.
L’alto livello raggiunto attesta più cose: la bontà della lavorazione, la specializzazione nel settore, la formazione professionale conseguita, figlia di esperienze lavorative pluridecennali. Tanto gli arsenalotti quanto i liberi (i dipendenti delle ditte private), concorsero con efficacia e bravura a realizzare la grande nave da battaglia. La stampa esalta questo mix di manodopera fissa e avventizia che, per la maggiore specializzazione e il migliore utilizzo delle capacità individuali, ha permesso di ridurre le spese di produzione. Tutti poi applaudono la rapidità e la qualità della costruzione, nonché il contenimento dei costi, risultato apprezzato anche all’estero. La Cavour era gemella della Dante Alighieri varata nel 1910 a Castellamare di Stabia, entrambe disegnate dal senatore Edoardo Masdea, tenente generale del Genio. Aveva una larghezza di 28 metri per una lunghezza massima di 175. Il dislocamento in carico normale era di 22.700 tonnellate. L’armamento principale consisteva in 13 cannoni da 305 mm distribuiti in tre torrette trinate e due binate, ma c’erano anche 18 cannoni da 120 mm, 20 cannoni da 73 e 3 lanciasiluri. I motori erano alimentati da turbine «Parsons» per una potenza complessiva di 2.400 HP, con 20 caldaie del più recente tipo «Blechinden » per una velocità oraria di oltre 22 miglia. Portava 1.000 tonnellate di carbone, ma la carboniera di riserva ne conteneva anche 1.500.Oltre a essere più potente per armamento della Dante Alighieri, la Cavour aveva due «alberi militari» per il servizio radiotelegrafico e un sistema di tubolature per esaurire le masse di acqua dalla stiva e prosciugare le sentine. Un sistema adeguato di macchinari provvedeva alla refrigerazione delle sante barbare, alla ventilazione e al riscaldamento dei locali, mentre dei meccanismi appositi servivano per ancore, ormeggio e tonneggio.
Con altre due corazzate della stessa classe, la Giulio Cesare e la Leonardo Da Vinci in lavorazione alla Foce e a Sestri, ci si trova dunque in un periodo di grande fervore costruttivo per recuperare il gap che si ha soprattutto nei riguardi della flotta britannica, allora la regina dei mari. Protagonista di tutta questa attività è soprattutto la città della Spezia ormai diventata la capitale della Marina da guerra italiana a soli 50 anni dopo la costruzione dell’Arsenale Militare che compie il miracolo che trasforma l’anatroccolo in splendido cigno.C’è quello stabilimento militare, ma sono belle realtà anche i cantieri navali che l’impianto militare si è trascinato dietro. Fra questi spicca la fabbrica della Fiat San Giorgio al Muggiano. Nel cantiere poco prima del varo scendono in mare due sommergibili della classe «Laurenti», il loro ideatore. Portano i nomi bizzarri e simpatici di Velella e Medusa, animaletti marini che per l’apparato idrostatico sembrano dei sommergibili viventi. Qualche mese dopo, nel gennaio del’12, ancora al Muggiano sono ultimati altri due sottomarini della stessa classe, lo Jantina e il Salpa, anche questi animali marini sommergibili viventi. In contemporanea, sullo scalo 3 del Regio Arsenale si impostano due sommergibili di una classe progettata dal capitano Cavallini: il Galileo Ferrari e il Giacinto Pullino, dotati di armamento molto più potente e di motori a olio pesante. Alla Cavour si presta particolare attenzione. Ne fanno fede i periodici e frequenti controlli eseguiti da ispettori d’alto livello che arrivano da Roma per controllare lo stato dei lavori e ogni sopralluogo li lascia soddisfatti. Nel maggio dell’11 viene Giovanni Bettolo. Ministro della Marina nel precedente Ministero, l’alto ufficiale riveste al momento la carica di Capo di Stato Maggiore. Bettolo rileva con soddisfazione che i lavori sulla Conte di Cavour sono molto avanzati. Quindi, per completare la sua missione, nel pomeriggio si reca nello stabilimento della Vickers-Terni (l’odierna OTO) dove si costruiscono la maggior parte delle artiglierie delle grandi «dreadnaught». Domenica 11 giugno è la volta dell’onorevole Bergamasco, sottosegretario alla Marina. Dopo aver visitato il porto mercantile e ispezionato il siluruficio di S. Bartolomeo, si reca in Arsenale per controllare come procedono i lavori della Cavour, dichiarandosi molto soddisfatto.
L’elevato livello dei prodotti realizzati dai cantieri spezzini, statali e privati, è confermato dal gran numero di missioni straniere che arrivano nel Golfo per vedere, esaminare, fare ordini. Qui staziona qualche mese dopo il varo una squadra giapponese. L’impressione è che non ci si limitò alla visita alle cave di marmo di Carrara e agli intrattenimenti offerti dal Circolo di Marina e dal Comandante del Dipartimento, come attesta la cronaca, ma che ci fu anche qualche cosa di più. La notizia più curiosa è l’arrivo di una missione militare turca, giusto dello Stato contro cui dopo pochi mesi si sarebbe combattuta la guerra che avrebbe portato all’Italia Libia e Dodecaneso. La delegazione ottomana, alla Spezia dall’8 al 10 maggio, visita la Fiat San Giorgio dove esamina soprattutto i nuovi modelli di torpedini «Novera», un tipo di siluri che impressiona molto. Gli ospiti lascianoLa Spezia facendo ben sperare in merito a commesse che il governo turco avrebbe ordinato ai cantieri spezzini, anche se poi lo scoppio delle ostilità fra Roma e Ankara compromise tutto. Insomma, la città vive un momento assai fortunato e fausto, ricco di fervore industriale con i capannoni che crescono come funghi. Ora si sta costruendo un impianto chimico: sarà Shell e IP. Il dinamismo si nota anche per altri fattori. Un tecnico dell’Arsenale mette a punto un contagiri per conoscere la velocità esatta delle navi. Oppure, si chiede l’istituzione alla Spezia di una nave-scuola officina che accolga e formi professionalmente i figli degli operai indigenti e gli orfani della gente di mare.Un indicatore quanto mai fedele, il dato demografico, conferma lo stato di grazia. Da mezzo secolo non si contano le persone che da ogni parte accorrono sulle rive del Golfo dove trovano il lavoro negatogli a casa propria. Già un’indagine di tre anni prima aveva collocato La Spezia al primo posto per incremento demografico con quasi il 5,2% di aumento nel numero dei residenti, staccando nettamente la seconda, Terni. Certo, le tante industrie che si sono formate alla Spezia dalla metà degli anni Ottanta dell’Ottocento e il porto mercantile venuto subito dopo, hanno giocato la loro parte, ma come dimenticare che il volano virtuoso che aveva dato il via al movimento di industrializzazione era stato proprio l’Arsenale Militare i cui lavori di fondazione avevano avuto inizio cinquant’anni prima, fra l’altro originando subito un grande e vario indotto. Nel 1861, data del primo censimento, la città contava poco più di 11.000 abitanti, ma già in un ventennio cresce maniera impressionante, oltre il 173%. Poco prima del varo vengono resi noti i dati dell’ultimo censimento. Gli abitanti sono 72.128 unità: si rompe il muro dei 70.000, ma soprattutto si cresce del 10,5% sul dato precedente, quasi 2 abitanti al giorno in quei dieci anni. Non stupisce che l’attività edilizia sia altrettanto frenetica: si costruisce tantissimo, si amplia, si ristruttura. Tutto questo giustifica la richiesta della Spezia di essere sede di provincia, a capo di un territorio che si spera possa comprendere, oltre al Circondario, anche l’alta Lunigiana che ormai gravitava stabilmente sulla Spezia. Della portata del varo e dei benefici che sarebbero ricaduti sulla città, l’Amministrazione Civica è ben consapevole. La Spezia era allora retta da una coalizione delle sinistre (radicali, repubblicani e socialisti) che due anni prima avevano sconfitto i moderati al potere dal 1897. Questi erano riuniti attorno al marchese Prospero De Nobili, importante uomo politico che era anche stato settosegretario al Tesoro con Zanardelli. Per il varo l’Amministrazione mette a punto a tempo di record una macchina organizzativa già ben oliata dai precedenti vari di Regina Elena e Roma nel 1904 e nel 1907 due grandi avvenimenti, specie il secondo, la cui eco continua a rimbalzare nella cronaca locale. Nonostante ci sia ancora incertezza sulla data del varo (il Re ha impegni per il 10), la Giunta stanzia per i festeggiamenti la bella cifra di 30.000 lire, di cui 12.500 per divertimenti popolari e per «eccitare» l’arrivo di turisti, e dà vita a un Comitato. Comprenderà molte persone, ma all’inizio è composto solo dai Presidenti di Camera di Commercio, Associazione Commercianti e Associazione Nazionale pel movimento dei forestieri. Soprattutto i commercianti sono attivi capendo che il buon successo della giornata rimbalzerà positivamente sui loro affari. Ma è la Città tutta che, sentendo sulla pelle l’avvenimento, intende viverlo nel migliore dei modi, nonostante che incombano le elezioni amministrative parziali del 25 giugno. La lotta politica è accanita con De Nobili che cerca di risalire la china, ma il suo tentativo è condannato dal voto che conferma la maggioranza di sinistra. Se c’è la contesa elettorale, ognuno però rema per il miglior esito del giorno del varo. Per questo, com’é logico e giusto, si fanno le cose in grande anche perché alla festa del varo presenzierà il Re. L’Amministrazione fa stampare ben 40.000 biglietti d’invito e chiede alle ferrovie di allestire treni speciali nella previsione che arrivi un gran numero di visitatori. Siccome si stima che gli alberghi non riescano a soddisfare la richiesta di posti letto, si invitano i privati cittadini ad affittare appartamenti e camere ammobiliate. E di gente da fuori ne viene assai se le Ferrovie attestano circa 40.000 arrivi in treno per il varo. Ma tanti ripartono presto perché i prezzi sono alle stelle.
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L’evento si presenta ricco di avvenimenti ed è favorito dal bel tempo. Così la festa si annuncia bellissima con diverse iniziative attorno contorno all’avvenimento principale Il giorno del varo si sentono già di buon mattino musiche che allietano coi loro suoni i cittadini in attesa del varo che si terrà dalle 9 fino a mezzogiorno Al pomeriggio al Politeama Duca di Genova è prevista una conferenza organizzata dalla Dante Alighieri sulla figura di Cavour. Dalle 17 si può visitare in battello il Golfo. Alla sera, mentre al Politeama si rappresenta il Mefistofele di Boito, tutta La Spezia sarà illuminata e si suonerà in piazze e giardini pubblici. Per il giorno seguente il programma contempla gite nel Golfo con musiche a bordo (si ripetono nel primo pomeriggio) e la visita all’Arsenale aperto al pubblico per l’occasione. Da metà pomeriggio si svolgeranno gare di nuoto e regate di lance, battelli e baleniere. La festa si conclude il venerdì sera con la Serenata in mare e combattimenti pirotecnici (si replica la domenica sera) fra una squadra navale e un forte mentre nelle piazze illuminate la musica continua. Il programma piace e presenta la grossa novità di cinque aerei che, il venerdì e i due giorni seguenti, solcano i cieli del Golfo. La Riunione Aviatoria riscuote successo: è la prima volta che gli Spezzini vedono dei velivoli da vicino.In quei giorni si tiene la «festa dei fiori »: signore e signorine vendono mazzetti di fiori tricolori a beneficio degli orfani del Garibaldi e dei vecchi del ricovero civico. I commercianti addobbano gli esercizi con luci e fiori: è la «Mostra delle Mostre», concorso per la vetrina più bella. Finalmente il Gran Giorno arriva. La Spezia è la prim’attrice dell’evento, col suo territorio e i suoi cittadini uniti a celebrare il riconoscimento della posizione raggiunta ormai da già qualche anno, del ruolo ricoperto con indubbio merito, della speranza di un futuro sempre più presente. La Città è protagonista: rende omaggio al Re e saluta i tanti ospiti fra cui i sindaci di Lunigiana che partecipano sperando nella costituzione di una nuova Provincia con capoluogo La Spezia. Nei commenti delle testate non si dimentica la Storia: dall’intuizione di Napoleone alla volontà di Cavour di fare l’Arsenale che ha portata La Spezia a essere fra le città più importanti d’Italia. Poi compare la realtà: il centro industriale, il golfo che ospita la flotta e l’ampio porto commerciale, le ciminiere che si moltiplicano, il centro che, ammirato da tutti, si fa sempre più bello in un progresso continuo. Nel varo si celebra la festa del lavoro e la festa della città. C’è la grande consapevolezza di chi si era e di chi si è diventati, del gran salto in avanti compiuto in un arco di tempo ristretto. Dipendono forse da questo le contraddizioni che ancora vive la Spezia per essere stata obbligata a diventare grande troppo in fretta senza poter diluire nel tempo le tappe della crescita. Giovedì 10 è proprio una giornata radiosa, azzurra e di pieno sole. Sui muri della città spicca il manifesto con cui Domenico Giachino, Sindaco appena entrato in carica, partecipa a concittadini e visitatori la gioia per le belle e intense ore che stanno per venire.
Gli ospiti illustri non sono pochi. I Duchi di Genova che accompagnano il Re, arrivano in automobile. Viene il ministro della Marina Leonardi Cattolica; approda nel Golfo la squadra del Mediterraneo agli ordini del vice ammiraglio Augusto Aubry; arriva Blaserna, presidente del Senato, accompagnato dal senatore Giovanni Capellini, il grande geologo spezzino. Non manca la rappresentanza della Camera e da Genova viene il prefetto Garroni. C’è anche la contessa Alfieri di Sostegno, unica parente superstite di Cavour. Un piroscafo porta da Genova i soci della Lega Navale per l’inaugurazione della bandiera della sezione spezzina e in treno arriva da Firenze la banda degli orfani dei Marinai italiani accolta dalla fanfara dei Reali Equipaggi e da una folla che ricopre i ragazzi di affetto. Con i sindaci di Roma, Genova e Torino ci sono quelli del Circondario spezzino e della Lunigiana, testimonianza dell’interesse per la nascita di una nuova provincia la cui venuta è auspicata da Giachino nel saluto ai colleghi. Il giorno del varo La Spezia è pervasa da allegria e gioia. Una folla esultante e felice invade le vie per dirigersi verso l’Arsenale che i guardiani aprono alle 7. È una massa che spinge e si allunga lungo i viali ombreggiati cercando le tribune mentre gli si offrono i mazzetti tricolori. La truppa è schierata sulla via per la tribuna reale dove si sistema il Re. I palchi a lato ospitano le Autorità, il corpo diplomatico e la stampa. Dietro ci sono le tribune per il pubblico, poi gli operai in piedi. Vittorio Emanuele III arriva in Arsenale alle 9. Dà il braccio a Isabella, duchessa di Genova, madrina della nave. Accanto sfila Tommaso, duca di Genova. Seguono Leonardi Cattolica col viceministro, il Sindaco Giachino, i deputati di Spezia e Pontremoli, D’Oria e Cimati, i rappresentanti delle Camere, le Autorità civili e militari, una rappresentanza di ufficiali di tutte le Armi, mentre il Vescovo col Capitolo attende sul palco il Sovrano. Dalla nave pende un nastro giallo e blu, colori di Torino, con appesa una bottiglia di spumante. Il colonnello Rota la porge alla Madrina che la lancia contro la prua della corazzata dove si infrange fra l’applauso corale. Con uno squillo di tromba Rota assume il comando delle operazioni: si tolgono i puntelli, i sostegni laterali e tutti i supporti che sostengono la nave che in una nuvola di fumo entra in acqua. Tuonano i cannoni, urlano le sirene, dovunque si propaga un applauso gioioso. Concluso il varo, Vittorio Emanuele III con i Duchi di Genova e le Autorità si reca a pranzo sulla corazzata Umberto I in una sala riccamente addobbata con fiori. Quindi, il Re visita la Dante Alighieri, il siluruficio di viale S. Bartolomeo e la Terni per poi tornare alla Spezia dove nei giardini dell’Ammiragliato c’è un garden party. Dopo un paio d’ore Vittorio Emanuele si reca alla stazione ferroviaria per tornare a Roma. Prima di partire, lascia al Sindaco 8.000 lire da utilizzare per l’assistenza incaricandolo di portare le sue congratulazioni a ingegneri navali, tecnici e maestranze. Alla sera, al Politeama si dà il Mefistofele di Boito. Col ministro Cattolica presenziano i Duchi di Genova che lasciano il teatro verso le 23, ma non ci sono molti spettatori. La gente gradisce di più nelle serate seguenti i giochi pirotecnici e la serenata in mare: su imbarcazioni della squadra navale riccamente addobbate, centinaia di mandolinisti suonano le serenate accompagnati da cori. Le gare di nuoto e di voga alla passeggiata Morin attirano il pubblico che alla sera si gode lo spettacolo di duemila lampadine colorate sparse tra i giardini. All’Ammiragliato e nel viale Mazzini le luci sono in lampade ad arco rivestite da un artistico intreccio di fiori artificiali. A completare l’effetto Ville Lumiére, i giardini delle piazze Brin e Saint-Bon e la via Prione sono tutti illuminati come anche Corso Cavour dove ci sono le lampade a gas, antiquate ma economiche. Si passeggia fra le vetrine addobbate o si partecipa alla tombola di beneficenza organizzata in piazza Brin per gli orfani. È poi folla quella che segue i giochi pirotecnici in mare. Quando poi si tirano le somme, c’è soddisfazione per l’ottima riuscita dell’evento, ma anche per l’aver riunito i sindaci del territorio che aspira a divenire Provincia. Questa sarebbe venuta più tardi e in forma diversa da quanto auspicato, ma l’incontro rappresenta uno dei tanti tasselli che pazientemente si stanno mettendo insieme per ottenere il tanto desiderato assenso: a richiederlo era la realtà economica in atto.
10 agosto 1911: nel battesimo di una grande nave spicca il ruolo di una grande Città. di Alberto Scaramuccia
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