GARIBALDI FUGGIASCO APPRODÒ A PORTO VENERE
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Al fuggiasco Eroe, che in gioventù aveva navigato il golfo Ligure sui velieri nizzardi, eppoi sui « regi », non fu probabilmente nuovo il panorama di Portovenere, quel mattino del 5 settembre 1849 in cui gli apparve dalla « Madonna della Arena », appena doppiata Punta Scuola, dopo un giorno ed una notte di manovre circospeziose per sfuggire alla caccia del vapore toscano «Il Giglio ». Padron Paolo Azzarini, santerenzino, che aveva il comando della barca « portante reti a tramaglio » — presumibilmente una delle tante « manaite » per la pesca stagionale delle acciughe — mollando, con un respiro di sollievo, le scotte alla buona brezza che soffiava ancora da terra aveva messo la prua decisamente sulla « Casetta » della Sanità, dove Garibaldi sbarcava verso le 10 del mattino insieme al suo fido compagno « Leggero » (o capitano Leggero, di casato Cogliolo), ancora dolorante di ferite riportate nella difesa d Roma. « Terra d’asilo e di salvamento » chiamerà subito dopo l’Eroe quella toccata, in una dichiarazione rilasciata per riconoscenza al padrone Azzarini « che la fortuna gli aveva fatto incontrare sulla terra Italiana dominata dai tedeschi, e lo aveva trattato egregiamente e senza interesse ». E ben a ragione: per più di un mese, che tanto s’era protratto il fortunoso trafugamento i segugi austriaci gli erano stati alle calcagna ed anche sul mare, dalla spiaggia di Scarlino, nel golfo di Follonica, alla Palmaria s’era fatto di tutto per catturarlo. Quanta insistenza, allora, per togliere di mezzo chi voleva a tutti i costi far l’Italia, quando oggi si è quasi legalizzata l’azione perniciosa di coloro che vorrebbero dividerla o disfarla! All’imbarco, la « Madonna dell’Arena » era equipaggiata da sei persone: Paolo Azzarini, detto Ipsilon, che ne era il padrone, Giosafatte, di lui vecchio padre, Flavio Azzarini di Paolo, Lupi Gio Batta, tutti di al mare, Locori Remigio di Pitelli ed un marinaio di Capo Liveri (isola d’Elba). In una punta a quest’isola, erano poi sbarcati il vecchio Azzarini ed il marinaio elbano, e la barca, per ingannare la crociera nemica, aveva fatto rotta successivamente per Capraia e per altre isole dell’arcipelago. Sullo sbarco di Garibaldi a Portovenere non esistono altri dati all’infuori di quelli contenuti in una vecchia memoria di mio padre che, allora ventenne, vi aveva assistito, insieme al suo genitore dott. Tommaso, medico dell’intero lato ovest del golfo. Questi, in accordo con i patrioti lericini e della Spezia, rifugio di emigrati politici e di mazziniani di diversa provenienza, lo avevano probabilmente preparato, come l’imbarco sulla spiaggia di Scarlino era stato predisposto dal patriota Pietro Gichem di Follonica. Com’era Portovenere quando vi sostò Giuseppe Garibaldi nel ‘49? A giudicare dalle stampe del tempo, nulla sembra mutato del suo caratteristico profilo di galeazza medioevale volgente la prua aguzza al golfo Ligure; ma, nel particolare, molto vi è di cambiato. Sparita, fra l’altro, la cintura di scogli dalla quale sorgevano direttamente le alte case-fortezza costruite dai Genovesi nel 1113, per costituire la nuova Colonia Januensis, col suo stretto «carruggio» al posto del primo aggruppamento di casupole sorgente sulla punta di San Pietro (il Portus Veneris degli itinerari romani). Quegli scogli avevano avuto arte importante nella difesa della piazzaforte da ogni sorta di nemici, i Pisani dapprima e successivamente Aragonesi, Angioini, Saraceni ed altri. Si narra che in un famoso assalto essi furono spalmati di sego, per impedirne l’accesso agli assalitori, mentre dalle terrazze a smerli e dalle finestre questi venivano tenuti lontani con mezzi più scottanti e persuasivi! Ma nelle grandi mareggiate le onde entravano da padrone, occorreva sbarrare porte e finestre per non aver l’acqua salsa in casa... La vita marittima del paese si svolgeva, in condizioni normali, nell’ampio arenile della « Spiaggia » ora sacrificata alle necessità del traffico terrestre. Così vidi anch’io Portovenere in tempi ormai lontani ed assai meno floridi: un paese povero e diseredato; ma, in compenso, la pesca e la navigazione vi erano tenute in gran considerazione, insieme alla coltivazione degli uliveti.
Tornando a Garibaldi; secondo la citata pubblicazione, questi a Portovenere abbracciò vecchi amici e salutò dei giovani ammiratori. Pianse amaramente nel ricordare i nomi di Anita, di Ugo Bassi e di Giuseppe Mazzini (anche’gli profugo e ricercato) «e ci diede l’addio, dimostrandosi straziato ma non fiaccato dai fati avversi, confortando tutti con fatidico labbro a confidare nel compimento dei destini d’Italia». Era stata messa a disposizione, per trasportare Garibaldi alla Spezia, una barca col padrone Zembi Andrea ed i due marinai Frumento Lorenzo e Bastreri Gaetano. Alla Spezia l’Eroe venne indirizzato ad un egregio gentiluomo del luogo, il sig. Gerolamo Federici, che gli procurò una vettura per recarsi a Genova. Accorse il popolo ad applaudire, ma tardi «perché si era raccomandato che non si spargesse la voce». Alla Spezia Garibaldi ritornerà altre due volte, ma prigioniero... Quel 5 settembre 1849, giunto a Chiavari alle nove di sera in abito da barcaiuolo, alle dieci e mezzo si presentava a lui l’Intendente del luogo chiedendogli il passaporto vidimato dal console Sardo e nella notte del 6, scortato dal carabinieri partì per Genova ove giunse alle 5 del mattino del 7 settembre.