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L’isola
Palmaria ospitava un tempo le
cave di portoro, un marmo nero con venature giallo-oro, vecchio di quasi 200 milioni di anni e molto pregiato; infatti è collocato al terzo posto nella categoria dei marmi.Il colore nero è dato dall’abbondante presenza di sostanza organica; le striature dorate sono invece dovute a un parziale processo di dolomitizzazione che ha distrutto, ossidandola, la sostanza organica. L’attività estrattiva del
portoro risale all’epoca romana; questo marmo venne poi riscoperto nel XVI secolo dallo scultore genovese Domenico Casella, che ottenne dal senato di Genova la concessione per lo sfruttamento della roccia. Da allora l’isola, ricca di
portoro come il vicino
isolotto del Tino,
Portovenere e le sue
frazioni, ha cominciato a costellarsi di
cave. L’estrazione del marmo nell’isola era però più difficoltosa rispetto a quella sulla terraferma, in quanto la
cava partiva da pochi metri sul livello del mare per poi abbassarsi fin sotto tale livello; quindi era necessario, all’inizio di ogni giornata, prima di poter cominciare il lavoro, estrarre l’acqua che durante la notte entrava dentro le gallerie. Il più spettacolare scavo si trova a 150 metri a strapiombo sul mare, nel versante occidentale, in un luogo da vertigine. Qui la parete è verticale con un piccolo spazio piano ritagliato faticosamente dai cavatori per la lavorazione e l’invio dei massi che dovevano essere imbarcati laggiù, fra le onde. I primissimi blocchi usciti dalle
cave dell’isola e dallo scalpello degli scultori servirono per la chiesa di S. Maria alla Spezia e per il palazzo dei marchesi di Castagnola.
All’inizio dell’Ottocento si cominciò a esportare il marmo
portoro in molti paesi dell’Europa e più tardi anche in America; la grande sala di proiezione della Paramount ne è tutta rivestita!
Una
cava della
Palmaria si chiamava Carlo Alberto per la visita che il re di Sardegna fece all’isola il 2 ottobre del 1838. L’ultima
cava a essere stata chiusa, in seguito a un’ordinanza emessa nel 1982-‘83 dall’Amministrazione Comunale, preoccupata per il degrado ambientale divenuto ormai evidente, è stata quella della Caletta, situata di fronte al
Tino, dove si trovano ancora i resti di attrezzature e blocchi di marmo. Delle trenta
cave censite nel 1862, di cui cinque all’isola
Palmaria, ne rimangono aperte solo due, delle quali una a
Muzzerone, di proprietà della Famiglia Modesti.