1884: LA SPEZIA NEL COLERA
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LA MALATTIA
Il colera è una malattia infettiva del tratto intestinale, caratterizzata dalla presenza di diarrea, spesso complicata con vomito, causata da un batterio a forma di virgola. Malattia endemica di alcune regioni dell’Asia, era praticamente sconosciuta in Europa fino a quando non vi venne introdotta per il processo di colonizzazione che importò il morbo nel Vecchio Continente che fino a quel momento aveva conosciuto come contagio solo la peste. Alla Spezia si verifica un’infezione nei bienni 1854-55 e 1866-67, ma le memorie degli avvenimenti sono lacunose e non permettono di ricostruire gli avvenimenti. Tanto meno per un’epidemia che si verifica ancor prima, nel novembre del 1835, ed in cui l’unica profilassi adottata fu «un solenne triduo di ringraziamento per essere stata liberata la città dal flagello». In ogni caso, la minaccia del contagio preoccupava non poco, nelle cronache dei giornali troviamo spesso indicata la paura per il «fatale zingaro», come il colera veniva allora definito dalla stampa spezzina. Il Governo del neonato Regno d’Italia apparecchia (già nel 1866) delle misure preventive che consistono nel trasportare gli infetti nel lazzaretto del Varignano: è una misura che viene subito condannata come drammaticamente inadeguata e che suscita l’indignazione delle autorità locali che sono giustamente preoccupate per il fatto che si concentri in un luogo ristretto una folla di colerosi o di portatori del contagio, in stretta prossimità di luoghi altamente abitati. Le loro proteste non sortiscono purtroppo alcun effetto e i piani restano pronti nell’eventualità che si manifesti la necessità dell’intervento per cui non si prospettano altre soluzioni. Neppure servirà la protesta quando una nave carica di 200 sospetti, già destinata al lazzaretto di Nisida che può contenere oltre mille quarentenanti, verrà dirottata al Varignano, ed inutilmente si protesterò contro lo strapotere della camorra che ha imposto al Governo il cambiamento di rotta.
1884
Una grande pandemia colerica si scatena nella Francia meridionale con l’infezione portata dalle navi provenienti dal Tonchino ed infuria nelle città di Tolone e Marsiglia dove è molto elevata la presenza di lavoratori italiani colà immigrati. Il governo Depretis provvede al rimpatrio dei connazionali mandando due navi che fanno la spola tra Francia e Italia e scaricano i rimpatriati indiscriminatamente, senza controlli sul loro stato di salute, al Varignano, sede di un lazzaretto dal 1714. siamo all’inizio dell’estate del 1884 ed in breve là si raccolgono promiscuamente migliaia di lavoratori. In quelle condizioni il contagio ha facile esca e ben presto si propaga alle zone circostanti fino ad arrivare alla Spezia. Anche fatti occasionali facilitano la diffusione. Gli emigranti vendono le loro vesti ai rigattieri per acquisire un po’ di denaro per sopravvivere. I vestiti che stante alla normativa dovrebbero essere bruciati, vengono invece immessi sul mercato e rivenduti, moltiplicando così le possibilità del contagio. Inoltre, spesso i marinai portano le loro vesti alle lavandaie (non poche sono anche prostitute) per farli pulire. I panni al tempo si lavavano nei canali cittadini e i germi si spargono nel grande sistema di acque interne che tuttora, anche se i canali sono interrati, costituisce una caratteristica della Spezia. Inoltre, mancando un sistema fognario, nei corsi d’acqua si scaricava di tutto: dell’igiene cittadina nessuno si interessava. A parziale scusante, va ricordato che La Spezia, da piccolo borgo quale era stato per tutta la sua plurisecolare esistenza, si era trovata ad essere capitale della Marina da guerra ed era dovuta crescere con la massima velocità. Le possibilità di lavoro richiamavano abitanti da ogni parte d’Italia ed era veramente difficile stare dietro a tutta quella trasformazione in cui il militare aveva ovviamente la preminenza. Nel ventennio 1861-81 (dati dei censimenti) la popolazione cresce del 173% con tutte le conseguenze e soprattutto le contraddizioni che questa impetuosa, disordinata ed irrazionale comporta. Soprattutto grave è la situazione degli alloggi. Mancano le abitazioni in un centro storico fatiscente e i proprietari di case non esitano ad affittare superando di gran lunga la possibilità ricettiva, stipando in locali davvero scarsamente igienici e del tutto insalubri i malcapitati che erano pronti a tutto nella ricerca della felicità, cosa che per loro voleva dire lavoro e possibilità di mangiare. È evidente che in quelle condizioni di ammassamento il contagio si diffuse con estrema facilità, oltretutto facilitato da stili di vita non propriamente ortodossi.
L’epidemia
Tuttavia, a dispetto di tutto questo il contagio non si diffonde subito. La paura è tanta anche se ci si scherza sopra per scaramanzia. Come al solito, la stagione dei bagni inizia in maniera brillante con una colonia di forestieri che affolla gli stabilimenti balneari spezzini. L’estate è afosa; una doppia cappa grava sulla Città: una dovuta alla calura, l’altra alla minaccia del colera. Per questo viene salutato come evento benefico, un fortissimo acquazzone con una pioggia torrenziale, vera e propria tempesta, che si verifica nella notte fra il 20 ed il 21 di agosto. Lo si ritiene portatore di salubrità, capace di spazzare via tutti i miasmi. Al contrario, è l’elemento scatenante del contagio perché le acque dei canali, fino ad allora rimaste stagne, si mescolano e si agitano trascinando i germi colerici dappertutto. Ed è colera. I casi di infezione si moltiplicano, il panico si diffonde dovunque ed è fuga generalizzata. Chiunque possa, si allontana dalla Spezia, anche spargendo il contagio altrove. I treni sono presi d’assalto, i turisti abbandonavano in massa la Città (né mai vi faranno ritorno come prima), tutti quelli che possono abbandonano il centro infetto. Fra l’altro, fugge anche Gio Batta De Nobili, già sindaco ed al momento presidente dell’Ospedale, lasciando del tutto sguarnita la Città sotto il profilo sanitario.
L’emergenza
Ci si rende immediatamente conto dell’enorme gravità della situazione. Mentre si richiamano medici da dovunque, quelli di Marina compresi (esemplare fu la l’opera di tutti loro), il Governo fa immediatamente salpare la flotta e manda alla Spezia il ministro della Marina Brin con un ordine tanto assurdo, quanto del tutto ingiustificato: cingere tutto il Comune con uno spietato blocco sanitario che blocca ogni possibilità di entrata e di uscita. Il Brin viene in treno da Roma, comunica l’ordine delegandone l’attuazione al Comandante la piazza, l’ammiraglio Di Monale, e poi riparte inseguito dalle maledizioni di tutti gli Spezzini. L’assurdo provvedimento, infatti, “democraticizza” il contagio: ogni quartiere della Città ne viene colpito e nessuno può sfuggirvi, tutti restano colpiti al di là del loro ceto sociale. Va segnalato che rientra precipitosamente da Montecatini dove si stava curando, il facente funzione di sindaco Raffaele De Nobili che assicura l’organizzazione dei soccorsi. Morirà nell’epidemia, la moglie si salverà a stento, ma la sua è una bella figura di un’istituzione che funziona.
I rimedi
Vengono in fretta allestiti quattro lazzaretti (uno militare, uno galleggiante alla diga, due a Valdellora ed al Poggio nell’ex convento delle Clarisse) che funzionano a pieno ritmo, fatta eccezione per quello di Valdellora presto dismesso. Si forma un Comitato di Salute Pubblica in cui spicca la figura del giovane marchese Prospero De Nobili (avrà una bella carriera politica) che si suddivide in sotto comitati per meglio fronteggiare la drammatica situazione. Isolati dal resto del mondo, gli Spezzini si danno da fare organizzando a favore dei meno abbienti e degli orfani, collette, passeggiate di beneficenza e facendo funzionare al massimo le cucine economiche per garantire pasti per chi ne era privo. Mentre si segnalano spiacevoli situazioni come a Lerici dove gli abitanti di quel comune organizzano motu proprio un cordone sanitario per tenere lontani gli Spezzini, si registra a metà settembre il tentativo di forzare il blocco a Buonviaggio, ma i dimostranti guidati da De Nobili vengono respinti dai regi carabinieri comandati dal capitano Silva. Questi per il suo comportamento ne riceverà una medaglia ed una sfida a duello da De Nobili. Comunque, i dimostranti vengono respinti ed alcuni di loro tratti in arresto. Il processo che si celebra poco dopo a Sarzana manda tutti assolti.
La fine dell’epidemia
Finalmente, dopo una cinquantina di giorni di passione, di lutti e di dolore comune e diffuso, la malattia perde la sua virulenza nociva e l’8 ottobre il blocco, il famigerato cordone sanitario, viene tolto. Il bilancio, vero bollettino di guerra, ci dice di 1365 casi di contagio di cui 597 letali. Nei due anni successivi l’epidemia colerica si ripeté, ma con effetti molto meno disastrosi anche perché il provvedimento del blocco non venne assunto. Quella sciagurata misura nel 1884 la si prese solo per La Spezia, nonostante che il colera colpisse duramente in quell’occasione a Napoli, a Genova e a Busca, una località del Cuneese immediatamente a ridosso di Ventimiglia da cui i profughi dalla Francia, eludendo i labili controlli, rientravano in Italia spargendo il contagio. Alla Spezia si capì l’urgenza di provvedere alla situazione igienico-sanitaria che era veramente drammatica: per gli alloggi, per il sistema fognario, per la fatiscenza delle aree del centro storico. Si decise di sventrare come a Napoli, ma il Piano di Risanamento, legge del Regno, lo si procrastinò fino agli Trenta del XX secolo; si istituì l’Orfanotrofio Garibaldi per i piccoli i cui genitori erano periti nel colera; si cominciò a procedere sulla via di una generale ristrutturazione igienico-sanitaria e,soprattutto, si iniziò la soluzione del problema abitativo che sfociò nella realizzazione del quartiere operaio di piazza Brin. La Città, comunque, rimosse in fretta il dramma del colera, prova che a Brin, artefice del blocco, e a Di Monale, esecutore di quello spietato rodine, si intitolarono una piazza ed una via.