LO SCOPPIO DI PAGLIARI SUL PONTILE PIRELLI
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Il pontile «Pirelli» si spingeva in mare per un centinaio di metri, proprio dinnanzi a Pagliari, ed era stato costruito dalla Società Wickers Terni per imbarcare parte delle armi da guerra costruite dalla stessa Società. Inoltre, il pontile veniva utilizzato dalla Regia Marina Militare per l’imbarco di munizioni per l’armamento della flotta da guerra e per la difesa costiera nei numerosi Forti sulle alture che circondavano la Base navale della Spezia. Le munizioni erano rifornite dalla polveriera di Valdilocchi (ove avveniva il caricamento dei proiettili) e quindi depositate e immagazzinate nella Santa Barbara della vicina Ferarezzola a Vallegrande. Le polveriere erano cinte da mura, con garitte, ove permanentemente montavano la guardia i marinai, La polveriera di Valdilocchi fu uno dei primi insediamenti militari nella zona di Fossamastra-Pagliari negli anni 1860, Del pontile, saltuariamente, se ne serviva anche lo stabilimento d'Artiglieria situato a Pagliari, ove si fabbricavano e caricavano munizioni per pezzi di artiglieria terrestri e campali e dove era depositata l’attrezzatura occorrente per il trasporto delle munizioni a dorso di mulo, come basti, sellami e finimenti di vario genere. Lo stabilimento fu costruito nel 1888 ed era presidiato da soldati del 21° Fanteria, Il pontile aveva preso il nome dall’omonimo confinante stabilimento della Pirelli (specializzato nel costruire cavi telefonici sottomarini che venivano de- positati a stesi nel fondo marino dalla nave posacavi «Città di Milano»), era do- tato di binari ferroviari ed era adibito al solo attraccaggio di navi militari per l’imbarco di munizioni e armi da guerra, che solitamente venivano trasportate tramite mezzi ferroviari. Dopo il disastro venne ricostruito più ampio, prolungato di alcune centina- nia di metri, come tutt'oggi si può vedere. In quell’assolato pomeriggio del 3 luglio 1916, alle ore 16,30, tre vagoni carichi di munizioni sostavano sul pontile, pronte per essere imbarcate, quando da un vagone cominciò ad uscire del fumo. Subito il personale addetto, al comando del capitano d’Artiglieria Gandolfo, responsabile della manovra d’imbarco, diede l’allarme. Immediatamente la nave li attraccata prese il largo, mentre accorrevano i marinai della vicina polveriera Valdilocchi con i militari che in quel momento si trovavano a transitare in zona, tra cui anche tre finanzieri; di questi tre ne venne eretto un cippo alla memoria.
Tutti i soccorritori, pur sapendo del grave pericolo che incombeva, si prodigavano freneticamente per lo spegnimento, formando una catena umana e pas- sandosi secchi di tela pieni d’acqua che attingevano dal mare. Ma, constatato che l’operazione non portava alcun risultato e i minuti inesorabilmente passavano, il capitano Gandolfo prese un’ultima disperata decisione: tentare di gettare in mare i vagoni. Mancando la motrice ordinò a tutti i numerosi presenti (si parlò di oltre un centinaio) di spingere a forza di braccia i vagoni, in modo che, con l’abbrivio, demolissero la barriera di fine corsa posta al limite del pontile. Ma questa non cedette, anzi provocò la terribile deflagrazione e la strage in cui perirono non solo quei prodi soccorritori ma i numerosissimi bagnanti — nella maggior parte giovani — della vicina spiaggia che, essendo di luglio, era gremita. Tra le vittime i molti curiosi che non valutarono il pericolo e non ascoltarono i disperati avvertimenti del personale di servizio che sventolava delle bandiere rosse. Fu anche la fatalità che, nel momento dello scoppio, proprio davanti al pontile stava passando il tram carico di bagnanti. I più rimasero uccisi. Fu una catastrofe, con centinaia di morti e feriti. Immediatamente, da tutti i settori militari e civili, partirono i soccorsi che si trovarono di fronte una apocalittica visione. Corpi dilaniati e straziati, brandelli di carne e ossa umane sparpagliati ovunque per un raggio di centinaia di metri. Se ne trovavano contro i grossi platani del viale San Bartolomeo e a penzoloni ai pochi mozziconi di rami scheletriti e sfogliati che avevano resistito alla deflagrazione, tra i cespugli; in mare a decine erano i corpi che galleggiavano. Ne furono trovati anche sui tetti delle case circostanti, che per la totalità erano danneggiate. Mentre i feriti venivano trasportati subito negli ospedali militari e civili, la pietosa raccolta dei corpi straziati prosegui per alcuni giorni. Infine intervenne uno speciale corpo di militari con cani addestrati alla ricerca di eventuali macabri resti umani non visti e nascosti nelle siepi o tra i cespugli. Cè ancora chi ricorda che li vicino, in un canale ove erano convogliate le limpide acque che scendevano dalle colline di Pagliari, una giovane donna stava lavando i panni e conversava con un marinaio che era ritto sopra l’argine. Nell’attimo dello scoppio lo vide scomparire e non fu più ritrovato, mentre la ragazza, che si trovava al riparo dal poderoso spostamento d’aria, rimase scioccata ma non riportò neppure un graffio e si salvò. L’esatto numero delle vittime di quella sciagura non fu mai accertato. Si parlò di diverse centinaia. I quotidiani dell’epoca, per ordine governativo, dovevano cercare di mimetizzare il fatto, per ragioni psicologiche, dal momento che si era in guerra contro l’Austria e si parlava di un sabotaggio o di un attentato nemico. Perciò tutti i quotidiani avevano l’ordine tassativo di riportare solo il comunicato della Stefani (che era l’Agenzia di informazioni governativa), pena l’essere censurati. Sicché i più diffusi quotidiani nazionali, come Il Caffero di Genova e Il Popolo d’Italia non accennarono per niente al fatto. Solo Il Corriere della Sera, del 5 luglio 1916, riporta questo annuncio: «La Stefani comunica: il giorno 3 alle ore 16,30, nelle adiacenze del porto della Spezia, una scatola di polvere causò l’incendio di tre carri ferroviari carichi di esplosivi. Si hanno da lamentare parecchie vittime e danni materiali ai fabbricati adiacenti al luogo dello scoppio. Si è recato alla Spezia il Sottosegretario di Stato italiano per le munizioni, generale Dall’Olio per stabilire le cause dello scoppio e ricercare eventuali responsabilità». Il 6 luglio, in un altro articolo, così scrive: «Ieri sera, si ebbero sul luogo importanti funerali delle vittime, con la partecipazione del Sottosegretario generale Dall’Olio, i deputati Orlandini, Cimati e Framberti, il prefetto di Genova, grande ufficiale Mario Rebucci, tutte le autorità militari e cittadine e una immensa folla. Tutti i negozi e cinema sono stati chiusi per lutto cittadino». Questo comunicato che era della Stefani, venne riportato su tutti i quotidiani. Noto che Il Corriere della Sera dell'8 luglio 1916 (del costo di centesimi 10) co- municava un primo elenco di 5O vittime civili, tra cui molti giovani. Ho stralciato quelli che abitavano a Fossamastra: Gatto Giovanni di Giuseppe, cuoco della trattoria Bellavista, figlio dello stesso proprietario, di anni 16 (scomparso) — Ravasio Maria di anni 60, sarta - Bonino Pietro di Attilio, anni 14 (scomparso) - Colombini Oreste di Calci, abitante a Fossamastra — Tritori Mario, di Ales- sandro, abitante a Fossamastra - Zanetti Ileo di Vincenzo, di Sarzana, abitante a Fossamastra, Mentre questi che seguono mi sono stati ricordati da parenti o conoscenti: Ruffilli Annibale — Piastri Terenzio — il giovane Licciadri, figlio di siciliani che dal 1905 gestivano l’unico tabacchino a Fossamastra, ove abitavano - Ravasio Demetrio, che fu ferito alle gambe. Purtroppo molti degli abitanti di Pagliari non furono ritrovati, tra questi Ceo Stefano. Sfogliando e osservando attentamente i suddetti quotidiani dei giorni seguenti al fatto, fu l’unico elenco di caduti che trovai. Il Secolo XIX del 6 luglio, in un commento al fatto, rendeva noto che il Municipio aveva aperto con diecimila lire una sottoscrizione per le famiglie dei Caduti. ll giorno seguente, 7 luglio, esce il primo elenco di cittadini che avevano sottoscritto, tra cui: il professore dell’Ospedale Civile S. Andrea della Spezia (che ha in cura gran parte dei feriti) con la cospicua somma di 1OO lire; il senatore Giovanni Capellini lire 50; Ugo Carassale lire 5O; la Nobildonna Rachele D’Ariezzo lire 5O; la Ditta Fenelli Giuseppe lire 20; Ferrarini Marino lire 5; Azzorini Corinna lire 2; seguono altre centinaia di nomi. Il «Secolo XIX» fa inoltre notare che gli operai dello stabilimento «Cerpelli», dando esempio di generosa umanità, deliberarono di dare una giornata di stipendio e il proprietario, ingegnere Cerpelli, sottoscrisse una cifra corrispondente a quella versata dai suoi operai. Tutti i comunicati, i dati e i nomi, sono stati da me ricercati consultando i quotidiani dell’epoca, presso la Biblioteca comunale della Spezia, mentre i particolari mi sono stati raccontati, anni addietro, dagli anziani e oggi confermati da alcuni vecchi che, pur essendo ragazzi all’epoca dei fatti, ricordano ancora quell’immane disastro dello scoppio a Pagliari sul pontile Pirelli del 3 luglio 1916.
In memoria di questi caduti è stato eretto nel Cimitero Urbano dei Boschetti un apprezzato monumento.