IL QUARTIERE OPERAIO ALLA SPEZIA
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- | Le case operaie presentavano un aspetto tanto monotono e piatto, che viene accolta con grande favore la proposta di costruire, intorno all’ampio slargo che si stava facendo piazza, cinque palazzi porticati di gusto liberty che alleggeriscono l’uniforme ripetitività della zona. Nel 1900 verrà poi la chiesa che, intitolata alla Madonna della Salute, ripropone il nome di quella che stava alla Scorza e che venne abbattuta per costruire le vie Regina Margherita (oggi Aldo Ferrari) e via Fiume (allora Genova) che si sarebbero dovuto incontrare proprio dove c’era l’antica Chiesa che venne provvisoriamente traslocata anche nella piazzetta Ancona prima della sua sistemazione definitiva. A partire dai primi anni del Novecento, progressivamente si piantarono gli alberi e vennero le panchine. Infine, arriva la fontana. Inaugurata il 6 maggio 1856, è opera dello scultore Mirko Basaldella che la realizza in un pregevole mosaico veneziano. | + | Le case operaie presentavano un aspetto tanto monotono e piatto, che viene accolta con grande favore la proposta di costruire, intorno all’ampio slargo che si stava facendo piazza, cinque palazzi porticati di gusto liberty che alleggeriscono l’uniforme ripetitività della zona. Nel 1900 verrà poi la chiesa che, intitolata alla [[MADONNA DELLA SALUTE|Madonna della Salute]], ripropone il nome di quella che stava alla [[:Categoria:SCORZA|Scorza]] e che venne abbattuta per costruire le vie Regina Margherita (oggi [[VIA ALDO FERRARI|Aldo Ferrari]]) e [[VIA FIUME|via Fiume]] (allora Genova) che si sarebbero dovuto incontrare proprio dove c’era l’antica Chiesa che venne provvisoriamente traslocata anche nella piazzetta Ancona prima della sua sistemazione definitiva. A partire dai primi anni del Novecento, progressivamente si piantarono gli alberi e vennero le panchine. Infine, arriva la fontana. Inaugurata il 6 maggio 1856, è opera dello scultore Mirko Basaldella che la realizza in un pregevole mosaico veneziano. |
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Una nuova città
Dopo la venuta dell’Arsenale Militare (i lavori cominciano nel 1862; l’inaugurazione è alla fine di agosto di sette anni dopo), la Spezia cresce in maniera impressionante: le possibilità di lavoro che il nuovo stabilimento offre, attira sulle rive del Golfo una massa di persone che arrivano qua da ogni parte d’Italia. Dentro ci trovi di tutto: manodopera specializzata mandata dagli altri Arsenali a lavorare nel neonato impianto industriale, tecnici che trovano la migliore occupazione per la loro professionalità e, soprattutto, una gran folla di diseredati che trovano nell’Arsenale e nell’indotto che presto crea, la possibilità lavorativa che gli è negata a casa loro. Queste persone vengono da ogni parte d’Italia: in prima battuta dalle aree prossime come la Lunigiana e la Riviera, quindi dalle regioni confinanti e poi praticamente da ogni dove dello Stivale. Nasce così una nuova etnia di foresti che in fretta si mescolano con gli indigeni, soppiantando le loro usanze e i loro costumi in un processo di integrazione che dà vita, di fatto, ad un nuovo modello antropologico. Uno specchio di questa trasformazione la si ha, ad esempio, nel linguaggio in cui si mantengono alcune caratteristiche dell’antico dialetto genovesizzante, ma se ne introducono altre assolutamente nuove. L’articolo determinativo maschile, per fare un esempio, da ‘u diventa er; si perde probabilmente la cantilena che si sente ancora andando da Riomaggiore (la Riviera non è toccata che in minima parte dal processo immigratorio) verso la Lanterna.
Il dato demografico
I numeri forniti dai primi censimenti del neonato Regno d’Italia sono più che eloquenti al proposito. Gli abitanti nel 1861 sono 11.556, di fatto l’identica cifra che si manteneva da più decenni, confermando nel sostanziale immobilismo demografico, una situazione economica statica ed asfittica. Nella rilevazione che si conduce vent’anni dopo la popolazione cittadina risulta essere salita a 31.565, con questo suo dinamismo che si riflette, come logico, anche su tutto il Circondario. L’aumento in termini percentuali supera il 173% e questo vertiginoso aumento è testimonianza di più cose: la grande possibilità del lavoro, la forza dell’attrattiva che La Spezia esercita nei confronti di quanti desiderino crearsi un altro futuro, ma anche la presenza di vistose contraddizioni ché né la Città, né il Suo territorio sono strutturalmente preparati ad accogliere tutte queste nuove presenze. La drammaticità si riscontra soprattutto nel problema abitativo. Gli alloggi presenti sul mercato sono insufficienti a rispondere alla domanda sempre più frequente. Si prendono d’assalto le case a buon mercato che sono quelle del fatiscente centro storico, ci si stipa dentro incuranti, per la necessità, di quanto siano insalubri e malsane, nel sostanziale disinteresse delle diverse Autorità (politiche, amministrative, militari) che accettano questa situazione di degrado non avendo i mezzi per affrontare il problema che oltretutto nella scala delle priorità non si collocava al primo posto.
Il problema abitativo
La questione della casa si manifesta in tutta la sua crudezza e nella sua tragicità nel 1884 con la drammatica prima epidemia di colera, quando l’affollata promiscuità della situazione è uno dei detonatori che acuiscono la crisi dovuta alla pandemia. Quando, dopo una cinquantina di giorni di sofferenza per una città martoriata, l’epidemia colerica ha fine, il problema casa viene posto da tutti all’ordine del giorno come ormai non più eludibile, ma anzi così pregnante che lo si deve affrontare con la massima risolutezza ed in tempi necessariamente stretti. In verità, già negli anni precedenti si erano manifestate iniziative che cercavano delle loro soluzioni. Così, ad esempio, nel 1873 c’è un primo piano del Ministro Sant-Bon per costruire 100 alloggi per gli operai, ma ad ancor prima, al 1869, risale un progetto della “Fratellanza Artigiana” per dare vita ad una cooperativa fra i soci. L’idea si concretizzò con la realizzazione di tre stabili edificati nell’area di via Gaeta nel periodo compreso fra il 1885 ed il ’90. Ma l’urgenza del problema impone che si intervenga in maniera più radicale.
Piandarana
Prende così il via il progetto di realizzare un quartiere operaio capace di accogliere parecchie famiglie di arsenalotti. Dapprima si pensa a costruire nei territori sulla parte orientale della Città, poi si individua il sito nell’area di Piandarana, una zona paludosa e ricca di acque (la si riempirà con la terra di risulta degli scavi dell’Arsenale) in cui i batraci erano certamente numerosi, ma non influiscono sul nome di quel territorio che viene così chiamato per essere stato la sede di una comunità di Ariani, che, fra l’altro, confinava con un’altra collettività germanica, i Longobardi che abitavano la vicina collina di Gaggiola, nome questo che deriva da wald che nella loro lingua stava per “bosco sacro recintato”.
Il quartiere operaio
Quello della casa per gli operai era al tempo un problema dibattuto: non solo nel Paese, ma anche in Europa. Si teorizza di creare delle aree aperte a più componenti sociali, ma alla Spezia il quartiere operaio sarà riservato esclusivamente alle famiglie degli arsenalotti, cancellando così ogni possibilità interclassista. Questa scelta si giustifica con la volontà da parte dell’Autorità di tenere sotto stretto controllo gli operai che avevano già mostrato caratteristiche di combattività, isolandoli dal resto della cittadinanza: per i tempi la zona della futura piazza Brin non era facilmente raggiungibile. Il progetto ha presto via libera: il colera ha evidenziato una situazione che mette in gioco la stessa sicurezza dello Stato. Così, il 10 gennaio 1885 si firma una convenzione fra il Ministero della Marina ed il Comune che si impegna a costruire 992 alloggi per famiglie operaie ricevendo un indennizzo da parte dello Stato. L’impresa si compie nonostante si incontrino serie difficoltà finanziarie per l’aumento dei costi di costruzione degli edifici e della infrastrutture. Le case, originariamente previste di 3 piani, vengono poi aumentate di uno con la conseguente diminuzione pro capite degli spazi esistenti fra i diversi blocchi (i cortili). Va anche ricordato che le cantine che esistono in ogni casa operaia, nel progetto iniziale erano camere di compensazione per contenere l’umidità che saliva per capillarità data la grande presenza di acqua nel sottosuolo. Il quartiere venne inaugurato il giorno di Ferragosto del 1889 da re Umberto I, ed è per questo che il quartiere oggi si chiama abitualmente umbertino.
LA PIAZZA
Le case operaie presentavano un aspetto tanto monotono e piatto, che viene accolta con grande favore la proposta di costruire, intorno all’ampio slargo che si stava facendo piazza, cinque palazzi porticati di gusto liberty che alleggeriscono l’uniforme ripetitività della zona. Nel 1900 verrà poi la chiesa che, intitolata alla Madonna della Salute, ripropone il nome di quella che stava alla Scorza e che venne abbattuta per costruire le vie Regina Margherita (oggi Aldo Ferrari) e via Fiume (allora Genova) che si sarebbero dovuto incontrare proprio dove c’era l’antica Chiesa che venne provvisoriamente traslocata anche nella piazzetta Ancona prima della sua sistemazione definitiva. A partire dai primi anni del Novecento, progressivamente si piantarono gli alberi e vennero le panchine. Infine, arriva la fontana. Inaugurata il 6 maggio 1856, è opera dello scultore Mirko Basaldella che la realizza in un pregevole mosaico veneziano.