VIA DEL PRIONE
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La strada più caratteristica del vecchio centro storico è senz’altro Via del Prione, che è sempre stata luogo di aggregazione per le occasioni d’incontro e le attività commerciali. Già da un rilevamento catastale del 1646 comprendeva, in un tragitto ben più breve dell’odierno, 35 botteghe, 4 forni e 14 magazzini. Nella zona limitrofa a quella strada, cioè Via S. Agostino, Via del Torretto e Via Magenta, nel 1888 vi erano ben sette pastifici, che continuavano la tradizione, iniziata nel ‘600, delle paste alimentari confezionate dai “fidelài” (da fidè, spaghetto), che producevano le ben note paste bianche “della Spetia”. Oggidì in Via del Prione vi sono innumerevoli negozi di ogni tipo, tra i quali prevalgono quelli di abbigliamento e calzature, tanti da “fae pensae che i spezìn i sìgio preocüpà de restae nüdi e descàossi”. Com’è noto “Prione”, toponimo che abbiamo in comune con Genova, dove c’è Salita del Prione, deriva da “prión”, grossa pietra che, secondo la tradizione, sorgeva ai quattro canti (incrocio con la attuale Via Sforza) e serviva per “pulpito” al banditore comunale (detto cìntraco, con parola greca) per comunicare con voce stentorea ai cittadini le deliberazioni, che vi saliva sopra per essere bene in vista. I vecchi spezzini, che attribuivano il nome prión più al quartiere che alla strada, la chiamavano “carugio drito”, non perché sia rettilineo, anzi non lo è per niente, ma perché “drito” in questo caso significa “principale”, perché era la strada che permetteva l’attraversamento della città per uscire dalla cinta muraria a Porta Genova (all’altezza della vecchia sede della Pubblica Assistenza). Proprio di fronte a quell’edificio, ora sede del Museo Diocesano, vi è un palazzetto a tre piani (di cui recenti restauri hanno portato alla luce emergenze antiche), in ciascuno dei quali si trovano altrettante logge. Orbene, nel 1849, all’epoca della prima guerra d’indipendenza, una loggia Lorenzo Chiappeti, all’epoca assessore comunale, poi sindaco della Spezia nel 1872, leggeva agli spezzini adunati nella sottostante strada gli avvenimenti della guerra riportati su quotidiani genovesi che, verso le 9 di ogni mattina, giungevano da Genova portati dalla corriera postale, detta in dialetto a “mala”, forse con derivazione dal vocabolo inglese “mail”, che veniva letto come è scritto, ignorando la pronuncia inglese. Se qualcuno, pasando in quel tratto di Via del Prione, osserva la base del palazzetto del Museo Diocesano, vedrà murata, in basso, una piccola lapide di pietra, sulla quale è incisa la distanza inKm. dalla Spezia a Genova (Km. 102 e1/2). A questa strada ha dedicato una breve e garbata poesia Tino Barsotti, poeta dialettale tra i migliori contemporanei, che era, diciamo così, bilingue, perché adoperava, con eguale maestria, il dialetto grasiòto (era nativo delle Grazie) e quello spezzino.
Via Prion La pàa na bissa che s’è desvogià Daa Ciassa Garibardi ai giardinéti; Lünga e stréta coe ca tüte adossà, Senpre ’ngonbra de gente e de bancheti. Bütéghe antighe, müage sgarbelà, Quarche giranio rosso ai barconéti; Ente l’àia ’n prefümo de fainà, De vin, de früta en mostra ’nt’i careti. Gh’è pile de crocanti e caamèle, Fèri, panéti, libri e giancaìa, E, per zünta, che tòchi de fantèle! Per quanto la sia storta e marbüscà, Con tanti odoi e pòga poesia, L’è chi ch’i bata ’r chèe dea me sità. Questa strada non è più, ahimè, lasricata con i “ciapon” di arenaria nostrale che i “picapréa” corredavano di righe fatte a colpi di martello su una punta metallica, righe che avevano una funzione antiscivolo. Ora sono state sostituite da altra lastra di pietra di provenienza “estera”, che ricordano vagamente quelle antiche e che, non credo, avranno la stessa durata di esse. (Difatti, mostrano già segni di usura).
Via Prione - Sembra una biscia che si è srotolata / Dalla Piazza Garibaldi ai giardinetti; / Lunga e stretta con le case tutte addossate / Sempre ingombra di gente e bancarelle. / Botteghe antiche, mura screpolate, / Qualche geranio rosso alle finestrelle; / Nell’aria un profumo di farinata, / Di vino, di frutta in mostra nei carretti. / Ci sono pile di croccanti e caramelle, / Ferri, panini, libri e biancheria, / E, per giunta, che pezzi di ragazze! / Per quanto sia storta e malridotta, / Con tanti odori e poca poesia, / È qui che batte il cuore della mia città.
È sempre affollata come per il passato: nel tardo pomeriggio
è proprio affollatissima da un “fantame” di ragazze e ragazzi
che danno una connotazione giocosa all’antico carugio, ma
che procedono, a gruppi, inesorabili per la loro direzione, non
pensando nemmeno per caso a, non dico cedere il passo, cosa
così gentile che ormai è scomparsa, ma ad evitare di scontrare
malamente chi procede in senso inverso.
Nel punto più stretto, che è all’altezza della farmacia Bedini,
si ha l’impressione, passandovi, di trovarsi all’estremità di un
tubetto di dentifricio che occorre premere per poter far uscire il
suo contenuto che, nel caso, è il passante.
Dalle cronache della fine del ‘700 si apprende che la situazione
era più o meno la stessa, aggravata dal fatto che dalla
stessa strada dovevano gìuocoforza passare anche carri e carretti,
costringendo i passanti ad addossarsi ai muri. La conversazione
ad alta voce tra chi sostava a chiacchierare, le voci
avvinazzate che uscivano dalle innumerevoli osterie, il continuo
schiamazzo dei bambini che giocavano nei carugi adiacenti
(specialmente l’odierna Via Marsala, detta “carugéto”)
producevano un rumore che la ristrettezza della sede stradale
e l’altezza delle case moltiplicavano. Era quello che oggi, con
eloquio ridondante, viene definito “inquinamento acustico”,
che in spezzino è reso meglio da bordèlo, dal verbo bordelàe,
e dal sostantivo “bordelon”.
Questo “bordèlo” aveva colpito i sensi di Richard Wagner
che, di passaggio alla Spezia nell’estate del 1853, era sceso in
una locanda di Via del Prione, identificata alcuni anni or sono
nell’antico palazzo Doria che è di fronte alla odierna Via
Gioberti (già Dante), sulla cui facciata è stata apposta una
targa commemorativa, per quanto taluni (fra i quali Gino
Patroni) sostenevano che la locanda fosse un’altra, situata di
fronte alla farmacia Bedini. Fu lì che il compositore ebbe l’ispirazione
del preludio dell’«Oro del Reno».
Via del Prione è attraversata dalla Via S. Agostino che, procedendo dalla omonima piazza, si dirige verso Corso Cavour. In quella via, prima dell’incrocio con Via del Prione, vi è il palazzo Federici, nel quale fu, nel primo decennio dell’800, installata la sede dell’Intendenza (oggi si direbbe Prefettura) della Provincia del Levante, che aveva come capoluogo la nostra città, ma che fu chiamata in tal modo, non “della Spezia come oggi”, per non urtare l’amor proprio dei sarzanesi che vantavano la sede episcopale. Ma Via del Prione, varcata la linea ideale delle mura che, scendevano dal Castello di S. Giorgio poco prima dell’attuale Scalinata Quintino Sella, prosegue ancora verso l’attuale Piazza Garibaldi. Prima dell’odierna Piazza Ramiro Ginocchio, ai primi del ‘600 fu costruito il convento dei Paolotti che, sconsacrato ai tempi napoleonici, fu adibito ad ospedale sino al 1914, poi a Pretura, ed ora è sede del Museo Lia. In Piazza Ginocchio esisteva un’antica chiesa, dedicata a S. Apollonia, demolita nel 1823 per l’allargameto della strada per Genova. Dove ora c’è il multiplano, vi era la Caserma dei Carabinieri, che aveva all’ingresso un piccolo giardinetto con piante di arancio, e, sul retro, un vasto spazio vuoto cinto da mura (ora c’è l’ufficio postale). Vi era anche, nella stessa zona, un ufficio del dazio (o meglio, dei gabelòti, come li chiamavano gli spezzini), analogo a quello che sorgeva nel sobborgo del Torretto.