L'ANTICA OSTERIA AL NEGRAO
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Versione delle 14:30, 15 lug 2011
Le vicende del Negrao cominciarono quando Berta filava,o quasi. È infatti necessario prendere le mosse, per tracciarne una convincente fisionomia, dal Settecento e raccontare che nel sito dell’odierna Antica Osteria al Negrao
funzionava un frantoio.Vi affluivano dall’intero circondario, uno sterminato oliveto, enormi carichi di olive da frangere. Anzi il nome medesimo – Negrao dall’aggettivo dialettale “negro” – attribuito alla zona circostante, lo si dovrebbe alla natura dell’ambiente in cui s’estendeva una boscaglia di piante d’olive giganti (dette “negroni”) tanto fitta da costituire una densa macchia nera perché impenetrabile alla luce: una micro Amazzonia. In luogo del frantoio venne edificata in epoca più tarda – durante il secolo XIX – una casa colonica dove i mezzadri dei marchesi Castagnola, proprietari dei fondi agricoli, s’incaricavano anche della vendita delle ingenti quantità di vino prodotto. D’altronde il vecchio torchio, ormai cadente, non era più in grado d’assolvere i propri compiti. Ai primi del Novecento, poi, con il riproporsi d’una consimile iniziativa determinatasi anche altrove, venne introdotto altresì lo smercio di cibi leggeri, casalinghi, di pronta e rapida preparazione assai graditi dai clienti per non correre il rischio di prendere sbornie, visto che l’ottimo vino dei Castagnola andava giù con estrema facilità.
Ecco dunque profilarsi l’attività commerciale d’osteria,
spontanea e quasi certamente non riconosciuta in modo
ufficiale. Vi si dedicarono diversi coloni fino a quando le
cose non furono del tutto formalizzate e l’esercizio acquisì
vero e proprio profilo di mestiere.
Inizialmente lo esercitarono i fratelli Eugenio e
Guglielmo Lupi, aiutati dalla loro mamma – la Tognetta –
e dalla Leonora di Polverara, che serviva in tavola.
Dopo di loro si susseguirono varie gestioni prima dell’attuale,
l’ultima della serie toccata ad una famiglia di parmigiani,
ma senza troppo esito e senza successo economico,
tant’è vero che nel 1950, allorché subentrò il nuovo titolare
Firmino Calzetta, egli acquistò la licenza in un fallimento
per l’epoca piuttosto grosso. E la sua riuscitissima gestione
prosegue ancor oggi portata avanti dalla moglie Nella
Costa e dalle due figlie dopo la scomparsa di Firmino.
La struttura dell’Antica Osteria al Negrao è ancora
essenzialmente quella della salda e spazioza casa colonica
ottocentesca, ma tutta restaurata ed in buona parte
ristrutturata, specie nel settore della trattoria al piano
terra. Oggi si presenta come un ampio edificio con la facciata
prospiciente la prima curva della Foce, con il retrocorpo
aggettante su un gradevole spazio verde e con la
fiancata principale, ov’è situata un’estesa e capiente terrazza,
sulla via della Guercia. È questo anche il lato della
prima sala da pranzo interna nella quale si trovano sia un
grande caminetto angolare, sia il banco bar.
Il menu è costituito da piatti liguri e preferibilmente
spezzini quali la mescciüa, i ravioli nostrali di carne e verdura,
la polenta con i funghi, la pasta al pesto (in particolare
gli gnocchi e i testaroli lunigianesi), il fritto d’acciughe,
i muscoli ripieni, la cima, lo stoccafisso in umido, eccetera. Volendolo, poi, i palati più esigenti dei tradizionalisti potrebbero farsi preparare dalla versatile signora Nella – che ricopre il ruolo di “maître” di cucina – il buon pane casereccio da combinare con le lumache in casseruola (e lümaghe en cassaòla) d’una volta. I vini serviti sono normalmente quelli d’una volta: Cinque Terre e Colli di Luni. L’ambiente è familiare e la clientela mista, numerosa, affezionata. Molti anche i personaggi frequentatori del Negrao, tra i quali l’attuale Sindaco Giorgio Pagano. Ora sono altresì frequenti, molto frequenti le comitive di turisti, una conseguenza dell’espansione in atto del turismo, incluso quello gastronomico che comincia a fare negozio. L’Antica Osteria al Negrao rappresenta tutt’ora allo stesso modo del passato un pulsante centro di sprugolinità non solo perché cucina spezzino, ma per il fatto di perpetuare tradizioni care al cuore della nostra gente.