LA BALENA A FOSSAMASTRA
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Versione delle 14:06, 8 lug 2011
In una afosa notte del 5 giugno 1955, da poco era passata la mezzanotte, quando un gruppo di amici, tornati da una riunione di pugilato, si soffermarono,
per godersi un po’ di frescura marina, sul pontile della societa sportiva Olimpya, allora confinante con il “Cantiere del Golfo”. Questi amici erano: Coia Gino, Macchi Angelo, Lazzeri Mario, Sagradini Eligio, il Brigadiere dei Carabinieri Folgeri, che faceva servizio nella caserma di Fossamastra, e un altro giovane del quale non se ne ricorda il nome.
Ad un certo punto sentirono a pochi metri, nell’interno del cantiere, un sibilo; subito pensarono alla perdita d’aria di una manichetta molto usata nel cantiere ma, scrutando meglio da dove proveniva, videro una grossa massa scura
che spruzzava un alto zampillo d’acqua e muovendosi agitava le acque circostanti; allora si resero conto di trovarsi di fronte ad un grosso cetaceo; corsero dal sorvegliante del cantiere, che era un certo Paolino, ed assieme andarono sul
posto muniti di torce e fari elettrici e, con stupore, videro che era una grossa
balena di una lunghezza di circa quindici metri e dal peso di circa cinque tonnellate.
Immediatamente, per impedirgli che riprendesse il largo, si prodigarono per
catturarla; il Coia Gino ed il custode Paolino coraggiosamente ci salirono sopra
e, aiutati dagli altri, riuscirono a conficcargli in testa un vero arpione, residuato
di una vecchia baleniera andata in demolizione; poi la imbragarono per la coda
con un grosso cavo d’acciaio e, tramite un vericello, la tirarono a secco sulla riva.
Al mattino, che era domenica, saranno state circa le sei quando in strada,
sotto la mia finestra che tenevamo aperta, sentii vociare l’amico Stratta Gino
che diceva che si era arenato un grosso pesce; non diedi molta importanza in
quanto due settimane prima era stato pescato un pesce martello, perciò pensai
ad uno uguale; ma quando sentii la lunghezza e il peso mi venne un barlume
di ingegno e saltai giù dal letto e in fretta e furia infilai i pantaloncini e le scarpe
e presi la mia vecchia macchina fotografica che tenevo sempre carica e corsi,
ancor tutto assonnato, sul viale San Bartolomeo ignorando dove fosse quel ce-
taceo. Un amico mi informo che era all’interno del cantiere ma che il custode
non faceva entrare.
Allora escogitai un sistema certamente non corretto ma che funzionò: suonai il campanello e quando il custode aprì, mi presentai come fotoreporter della stampa e se poteva concedermi di fare un servizio fotografico sulla balena.
Ignorando la mia bugiarderia per raggiungere lo scopo in quanto la mia decisa
presentazione fu tale e vedendo anche la macchina fotografica a tracolla lo indusse a farmi entrare, dicendomi che era proibito, ma faceva una eccezione solo
perché ero della stampa; così mi accompagnò dove era la balena.
Rimasi meravigliato: era la prima volta che vedevo dal vero una balena.
Passato lo stupore, mi fece pena il vederla agonizzante e sentire i suoi deboli
e ultimi respiri; cominciai a scattare foto inquadrandola da tutte le posizioni
compresa una con il sorvegliante il quale si raccomandò che quella foto la mettessi sul giornale in bella mostra; lo rassicurai anche per il favore che mi aveva
fatto nel farmi entrare nel cantiere.
Scattate tutte le foto che erano nel rullino non erano ancora le sette che,
inforcata la moto, a tutto gas, andai alla redazione di un noto quotidiano e all’addetto di turno proposi che gli avrei procurato, entro pochissimo tempo, le
foto di una balena che nella notte si era arenata dinnanzi a Fossamastra. Subito
accettò stabilendo anche il mio compenso; corsi dall’amico fotografo “Vitti”
che aveva lo studio in via Prione; era domenica, cosi dovetti andare in casa e
a quell’ora stava dormendo. Nel venirmi ad aprire, sentivo che stava borbottando, scocciato di essere svegliato a quell'ora insolita; quando aprì si meravigliò ma entrato lo misi al corrente della cosa e gli proposi di associarsi a questa
mia iniziativa. Lui la trovò buona e accettò; prima cosa occorreva sviluppare
il rullino e avere le foto il più presto possibile in quanto la sollecitudine era
la riuscita dell’affare.
Così si fece; sviluppate le prime foto, constatato che la riuscita visiva era
molto buona, le portai al giornale ancora umide di stampa e ritirai il compenso
pattuito. Nel frattempo il Vitti ne stampò una decina per ogni copia; velocemente venni a Fossamastra, erano le otto e trenta, erano passate solo due ore
da quando scattai le foto; tutti i presenti vedendole le vollero e in pochi minuti
le vendetti tutte ed ebbi molte altre richieste. Subito telefonai al Vitti dicendogli di scegliere le migliori e di stamparle in continuazione, cosa che lui fece e
ogni volta che un certo numero erano pronte, con rapidità andavo a ritirarle;
cosi andò avanti per quattro giorni consecutivi tanto che il Vitti, per sopperire
alle richieste, dovette lavorare fino a sera tardi; inoltre le espose nella vetrina
del suo negozio e la gente, incuriosita, si soffermava acquistandole in quanto
erano le prime immagini che facevano notizia.
Io qui a Fossamastra le esposi nei vicini bar e nei luoghi più adatti e vistosi.
Una certa quantità la volle Maestri Luigi "Toni" e Dilorenzo Franco "Francuzzo"
che nell’occasione, presero l’iniziativa di trasportare con la loro barca coloro che volevano vedere la balena meglio da vicino, potendola anche toccare,cosa che in molti fecero; dopo aver pagato il traghettaggio, come ricordo acquistavano le foto che loro venivano offerte.
La balena fu oggetto di curiosità per la rarità di essersi trovata in questi mari
e tutti i giornali nazionali ne diedero notizia, con ampi servizi fotografici; in
maggioranza riconobbi che le foto erano quelle scattate da me.
Diffusa la notizia in quei giorni affluirono migliaia di persone, da regioni
e città limitrofe; la maggior parte vennero dalla Toscana e dall’Emilia, in spe-
cial modo da Firenze e Parma; inoltre nuclei di scolaresche venuti con i pullman; quasi tutti come ricordo acquistavano fotografie. Vennero anche due grossi
pullman di turisti tedeschi che transitando di lì, visto un grande affollamento
di persone, si soffermarono per vedere la balena; molti la fotografarono, ma
poi visto le mie prese in altre angolazioni a loro non accessibili, in quanto erano state prese all’interno del cantiere, mi comprarono tutte quelle che avevo
disponibili; era un bel numero di copie, cosi dovetti andare subito a rifornirmi
in quanto ero rimasto senza.
Non se ne trovava più una, anche nei bar, come i barcaioli l’avevano terminate tutte. Fu un vero successo fotografico e di guadagno per me e per l’amico
fotografo Vitti e in parte anche per Toni e Francuzzo; tutto fu per aver saputo
cogliere l’occasione al momento propizio e averla realizzata con tempestiva rapidità.
Finito, offersi una bevuta generale a tutti i presenti che si congratularono
per l’idea venutami; in seguito di queste bisbocce ne offrii altre.
Gli esperti accertarono e definirono la famiglia a cui apparteneva la balena,
che era quella dei Capidogli, di sesso femminile, deducendo che la sua venuta
dall’oceano, ove esse vivono, fu dovuta al fatto che questa si mise a seguire qualche
nave che passando dallo stretto di Gibilterra, si inoltrò nel Mediterraneo; questo privo di planton, essenziale alimento per la sua sopravvivenza e perso l'orientamento nel trovare la via di ritorno, la prolungata permanenza senza il
suddetto planton, si indebolì talmente che arenandosi, non ebbe più la forza
di prendere il largo.
Dopo la sua morte, rimanendo per alcuni giorni esposta al sole, cominciò
ad andare in putrefazione; intervennero le autorità del servizio igenico sanitario iniettando con grosse siringhe sostanze anti fermentative; ma non ottennero l’effetto voluto; impensieriti di dove portarla, subito pensarono di sotterrarla,
oppure di rimorchiarla e portarla diverse miglia lontano dalla costa, con dentro
delle cariche esplosive per distruggerla.
Una signora, che aveva una fabbrica di sapone e profumi a Parma, si offerse
dichiarandosi disponibile, senza compenso di sorta, di portarsela a sue spese nella
sua fabbrica con la speranza di poterla utilizzare, ricavandone dalla famosa ambra, profumi pregiati e cosmetici: così la fece caricare su un grosso autotreno;
ma erano passati troppi giorni e quando venne rimossa da una grossa gru meccanica era talmente putrefatta che emanava un fetore cosl pestilente che era impossibile avvicinarsi. Gli addetti che la caricarono si dovettero mettere le maschere
antigas; comunque parti ugualmante, lasciando una scia maleodorante.
In seguito si venne a sapere che a Parma non arrivò in quanto alle autorità
sanitarie del posto venne comunicato l’arrivo di quel carico infettivo; queste
lo fermarono in aperta campagna alcuni chilometri prima della citta, imponendogli di sotterrarla entro le poche ore imposte, con preavviso di denuncia per non aver osservato e trasgredito le norme igieniche sanitarie. La signora profumiera, vedendo come si mettevano le cose, provvide all’istante: trovato un escavatore, fece fare una profonda buca, sul greco del fiume Taro, e lì la sotterrarono.
Con il passar degli anni, quando tutto sarà dimenticato e non più ricordato,
se scaveranno in quel luogo, trovando le sue ossa, dovranno porsi il problema
di come una balena sia potuta arrivare a cosi poca distanza da Parma!
Fonte: Giulio Negroni - IL BORGO DI FOSSAMASTRA Un tuffo nel suo passato