PORTESONE
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Portesone 14case in pietra in luogo solitario e segnato dal tempo.Portesone fu sicuramente la più grande delle corti del distretto di Ameglia e di Barbazzano; in essa vivevano uomini dediti, per il sistema del tempo, ad un tipo di vita economica rivolta esclusivamente all’agricoltura e alla pastorizia, fonti primarie del sostentamento. Dai documenti,soprattutto contratti riferiti ai secoli XII—XIV si può stabilire che uno dei prodotti principali fosse costituito dal fico, frutto altamente calorico e di facile coltivazione, sicuramente uno degli elementi base della dieta del tempo. Seguivano tra le colture, la vite e l’ulivo, integrate del grano, orzo, avena e tutti gli altri prodotti che costituivano il patrimonio di un orto. Non a caso è stata usata la parola patrimonio, poiché tali dovevano essere considerati quei prodotti in un tipo di economia molto povera se ancora nel 1421, il capitolo 150 del l° Libro del Civile del Comune di Ameglia cita testualmente: “Ogni persona della Meglia e suo distretto che haverà terre sue debba ogni anno a tempi debiti, fare un orto et piantarvi cavoli et altre ortaglie necessarie sotto la pena di soldi 10 per ogni contrafacente et per ogni volta che contrafarà. Quale orto sia di lunghezza almeno braccia 10 et altrettanto di larghezza sotto la medesima pena”. Altrettanto importante era considerato l’allevamento degli animali da cortile e la produzione dei formaggi, come può rilevarsi dagli obblighi contrattuali consistenti in polli, agnelli e ricotte, che i villani del luogo oltre alla moneta e alle prestazioni d’opera, dovevano al loro signore il Vescovo. Il periodo considerato, che ricopre circa trecento anni della storia di Portesone, dalla prima metà del Mille, alla prima metà del Milletrecento, risente di rilevanti innovazioni. Le tecniche secondo le quali si svolgeva il lavoro agricolo, poiché non ci sono documenti che attestano il contrario, possono essere quelle ritenute in uso nel Medioevo europeo. Come negli altri luoghi, si conoscono infatti i grani da semina autunnali, quali frumento e segale, e quelli da semina primaverili, quali orzo e avena. È nota anche la rotazione delle colture sui vari appezzamenti; e per favorire le capacità produttive dei terreni, e per meglio ripartire il lavoro agricolo nel corso dell’anno. Assieme a queste innovazioni, rimangono in vigore le pratiche tradizionali di coltura quali le semine continuative, legate all’uso del fuoco (vedi debbio, fornello ecc.). Infatti, i luoghi descritti non permettono appieno, a causa della loro morfologia, l’uso di pratiche indubbiamente innovatrici, quali l’aratro pesante, o qualsiasi altra forma di aratro. L’uso e comunque documentato nel codice come prestazione dovuta, probabilmente nelle terre di pianura nelle pertinenze di Ameglia. È difficile interpretare il significato del nome, in quanto, nei documenti a noi pervenuti e sulle carte il toponimo ha subito innumerevoli variazioni. L’ipotesi di ritenere esatta la grafia Partesone, (nel significato di “grande manso”) in correlazione con l’altro toponimo, ancora esistente, Partesella (con significato di “piccolo manso”) rimane tuttoggi difficile da dimostrare, in quanto tutte le fonti scritte riportano grafie che molto di più si avvicinano al significato di “porta, accesso, Cod.PeL N. 17 Portexono, Cod. PeL N. 32 Portasono, Cod. Pel. N.376 Portesone, Cod. PeL N. 384 Portexono, Cod. Pel. N. 493 Portesione, Cod. Pel. N. 496 Portexono Reg. Vet. N. 58 Portexoni (gen.) Ab. S. Ven. Tino XXXVII Portisione , Ab. S. Ven. Tino XL Portisione , Ab. S. Ven. Tino CLXXVIII Pontexono, Ab. S. Ven. Tino CCXIV Portexono, Ab. S. Ven. Tino CCCLV-CCCVI Portessono Portexono Risulta invece dalle più antiche carte a oggi: Pertusone, Putersone, Portesone. Portesone
Portesone fu sicuramente la più grande delle corti del distretto di Ameglia e di Barbazzano; in essa vivevano uomini dediti, per il sistema del tempo, ad un tipo di vita economica rivolta esclusivamente all’agricoltura e alla pastorizia, fonti primarie del sostentamento. Dai documenti,soprattutto contratti riferiti ai secoli XII—XIV si può stabilire che uno dei prodotti principali fosse costituito dal fico, frutto altamente calorico e di facile coltivazione, sicuramente uno degli elementi base della dieta del tempo. Seguivano tra le colture, la vite e l’ulivo, integrate del grano, orzo, avena e tutti gli altri prodotti che costituivano il patrimonio di un orto. Non a caso è stata usata la parola patrimonio, poiché tali dovevano essere considerati quei prodotti in un tipo di economia molto povera se ancora nel 1421, il capitolo 150 del l° Libro del Civile del Comune di Ameglia cita testualmente: “Ogni persona della Meglia e suo distretto che haverà terre sue debba ogni anno a tempi debiti, fare un orto et piantarvi cavoli et altre ortaglie necessarie sotto la pena di soldi 10 per ogni contrafacente et per ogni volta che contrafarà. Quale orto sia di lunghezza almeno braccia 10 et altrettanto di larghezza sotto la medesima pena”. Altrettanto importante era considerato l’allevamento degli animali da cortile e la produzione dei formaggi, come può rilevarsi dagli obblighi contrattuali consistenti in polli, agnelli e ricotte, che i villani del luogo oltre alla moneta e alle prestazioni d’opera, dovevano al loro signore il Vescovo. Il periodo considerato, che ricopre circa trecento anni della storia di Portesone, dalla prima metà del Mille, alla prima metà del Milletrecento, risente di rilevanti innovazioni. Le tecniche secondo le quali si svolgeva il lavoro agricolo, poiché non ci sono documenti che attestano il contrario, possono essere quelle ritenute in uso nel Medioevo europeo. Come negli altri luoghi, si conoscono infatti i grani da semina autunnali, quali frumento e segale, e quelli da semina primaverili, quali orzo e avena. È nota anche la rotazione delle colture sui vari appezzamenti; e per favorire le capacità produttive dei terreni, e per meglio ripartire il lavoro agricolo nel corso dell’anno. Assieme a queste innovazioni, rimangono in vigore le pratiche tradizionali di coltura quali le semine continuative, legate all’uso del fuoco (vedi debbio, fornello ecc.). Infatti, i luoghi descritti non permettono appieno, a causa della loro morfologia, l’uso di pratiche indubbiamente innovatrici, quali l’aratro pesante, o qualsiasi altra forma di aratro. L’uso e comunque documentato nel codice come prestazione dovuta, probabilmente nelle terre di pianura nelle pertinenze di Ameglia. È difficile interpretare il significato del nome, in quanto, nei documenti a noi pervenuti e sulle carte il toponimo ha subito innumerevoli variazioni. L’ipotesi di ritenere esatta la grafia Partesone, (nel significato di “grande manso”) in correlazione con l’altro toponimo, ancora esistente, Partesella (con significato di “piccolo manso”) rimane tuttoggi difficile da dimostrare, in quanto tutte le fonti scritte riportano grafie che molto di più si avvicinano al significato di “porta, accesso, Cod.PeL N. 17 Portexono, Cod. PeL N. 32 Portasono, Cod. Pel. N.376 Portesone, Cod. PeL N. 384 Portexono, Cod. Pel. N. 493 Portesione, Cod. Pel. N. 496 Portexono Reg. Vet. N. 58 Portexoni (gen.) Ab. S. Ven. Tino XXXVII Portisione , Ab. S. Ven. Tino XL Portisione , Ab. S. Ven. Tino CLXXVIII Pontexono, Ab. S. Ven. Tino CCXIV Portexono, Ab. S. Ven. Tino CCCLV-CCCVI Portessono Portexono Risulta invece dalle più antiche carte a oggi: Pertusone, Putersone, Portesone. Portesone