ORTOGRAFIA DEL DIALETTO SPEZZINO
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* Il trattino viene utilizzato per lo spezzino in un unico caso: per indicare la pronunzia della s sorda seguìta dalla c palatale nel nesso s-c (es. mes-ciüa). | * Il trattino viene utilizzato per lo spezzino in un unico caso: per indicare la pronunzia della s sorda seguìta dalla c palatale nel nesso s-c (es. mes-ciüa). | ||
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Versione delle 11:01, 6 set 2011
L'ortografia del dialetto spezzino utilizzata in questo sito, che è poi quella definita e proposta da Piergiorgio Cavallini ed Eugenio Giovando nell'Antologia del dialetto spezzino adotta un approccio cautelare, cioè quello di non rompere eccessivamente, da un lato, con la tradizione locale e, dall'altro, di mantenere intatta la struttura di base dell'ortografia dell'italiano, nota a chiunque desìderi leggere e capire l'opera. La base ortografica è stata pertanto presa in blocco dall'italiano: quindi l'uso dell'h ad indicare il suono velare dell'e e dell'i dopo c e g, quindi l'uso degli apostrofi ad indicare la caduta di vocali, il raro uso della q là dove se l'aspetta chi abbia familiarità con l'ortografia italiana.Ovviamente, per quanto riguarda i testi riportati integralmente, valgono le regole ed i sistemi adottati dai singoli autori.
Regole generali
L'apostrofo viene utilizzato per indicare le cadute (elisioni ed aferesi) effettive di vocali. L'unica concessione all'occhio abituato all'italiano si può eventualmente fare con gli articoli maschile e femminile singolare l davanti a vocale, che si possono trascrivere apostrofati anche se in realtà non si dànno occorrenze d'articolo *lo e *la (gli articoli, infatti, sono (e)r, o, l per il maschile e a, l per il femminile, trascritti rispettivamente er, 'r, o, l' e a, l', per cui non vi è alcuna caduta da indicare con l'apostrofo. Lo stesso problema e le stesse scelte valgono per le preposizioni articolate. In ogni caso, chiunque adotterà il presente sistema di trascrizione potrà, purché coerentemente, decidere di utilizzare p meno l'apostrofo in questi casi. In tutti gli altri casi si apostrofa là dove cade la vocale. Per quanto riguarda il pronome oggetto maschile e femminile, a parte la forma enclitica del tipo mangialo, mangiala = "mangiarlo, mangiarla" (se fosse "mangialo, mangiala" sarebbe nel nostro sistema màngialo, màngiala), la forma proclitica maschile è l(o) oppure (e)r, mentre quella femminile è l(a), per cui si scrive: a 'o sò, a 'r vòi; a n' 'o sò, a n'er vòi; a l'ho visto; a 'a sò, a ne la sò; la l'ha vista. Lo stesso dicasi per il pronome soggetto atono femminile singolare, che si comporta così: le l'è, le la diza. Va precisato che si tratta comunque d'un artifizio ortografico destinato a facilitare la comprensione o la redazione del testo, ma non d'una situazione ogget-tiva, perché ai fini della trascrizione fonetica non occorre indicare che una determinata vocale è caduta, tanto più che non è logicamente possibile in molti casi dire quale sia caduta. Quando, infatti, come nel caso della preposizione articolata, ad es. der (vedere più avanti), s'è avuto l'incontro tra de e er, in realtà s'è formato il morfema der, che così trascriviamo. La stessa cosa succede ad esempio quando s'incontrano le vocali o e a in quando a éimo, che diventa quand'a éimo: in realtà - ed è qui l'artifizio - la parola diventa quanda, e così si noterebbe in trascrizione fonetica. Comunque, per uniformare, e per tutta una serie di valutazioni di tipo soprattutto comparativo od empirico, si preferisce, negl'incontri di vocali, considerare eliso l'elemento terminale della prima piuttosto che considerare colpito da aferesi l'elemento iniziale della seconda.Legato al problema dell'apostrofo è quello - annoso - delle preposizioni articolate nello spezzino. Sulla base di quanto esposto, la serie è la seguente (la forma dopo la barra è da considerare variante ammessa): de: der, do, del/del'; da/dea, del/del'; di; de/dee; a: ar, ao, al/al'; aa, al/al'; ai; ae; da: dar, dao, dal/dal'; daa, dal/dal'; dai; dae; con: cor, coo; con l/con l'; coa, con l/con l'; coi; coe. Le preposizioni per, ente, sorve non hanno forme articolate, per cui la serie è: pe' 'r, pe' o, pe' l/pe' l'; pe' a, pe' l/pe' l'; pe' i/pe' e; (e)nt'er, (e)nt'o, (e)nte l/(e)nte l'; (e)nte l/(e)nte l'; (e)nt'i; (e)nt'e. sorve ar, sorve ao, sorve a'/sorve al'; sorve aa, sorve al/sorve al'; sorve ai; sorve ae.
Una breve parentesi per dire della famosa questione dell'articolo determinativo maschile singolare, der/do: d'altro non si tratta se non del trattamento della l- preconsonantica, i cui esiti sono diffusi in una zona ben più ampia della città della Spezia. La consonante liquida, a seconda della consonante che la segue, si velarizza o si rotacizza. La cosa passa, per così dire, inosservata all'interno di parola (carmo/àoto), ma viene a porre qualche problema quando l'incontro avviene per motivi fonosintattici, ed è il caso non solo dell'articolo, ma anche delle parole che, perdendo per troncamento l'ultima vocale, lasciano esposta una -l finale che può divenire preconsonantica, che va a subire gli stessi esiti che subisce all'interno di parola (der/do - mar/mao - bèr/bèo). Es: der can/do dido - mar cascà/mao de denti - bèr palàssio/bèo so.
Un'altra breve nota a proposito di dea/da - argomento ch'è stato oggetto di vigorose polemiche a livello locale - si noti che non si tratta d'un problema ortografico (il problema ortografico, se esiste, è tra dea/de a/de 'a da una parte e tra da/d'a/d' 'a dall'altra): qui si tratta d'una duplice attestazione di forme, si tratta cioè di stabilire se, in spezzino, "della" si dica dea o da! Personalmente, a livello di parlanti, anche in zone limitrofe, ho sempre trovato attestata la seconda forma. La prima mi pare più di derivazione dotta e letteraria, per cui direi che nel patrimonio lessicale dello spezzino esistono entrambe le forme, e ciascuno adotterà quella che preferisce. Voglio però solo far notare l'incoerenza di chi sostiene l'uso dell'espressione "della Spezia" e contemporaneamente propugna l'adozione della forma dialettale de 'a Spèza, che corrispondente sic et simpliciter a "di La Spezia"!L'accento (acuto ´, grave `), ha un duplice impiego:
Viene utilizzato l'accento grave con valore d'accento grafico, per indicare il grado d'apertura delle e e delle o toniche nelle parole parossitone (o piane, quelle, cioè, con l'accento sulla penultima sillaba). Il grado delle e e delle o atone nel dialetto spezzino - come in quasi tutti i dialetti italiani - è sempre chiuso.Vengono utilizzati gli accenti acuto e grave con valore d'accento tonico nelle parole proparossitone (o sdrucciole, quelle, cioè, con l'accento sulla terzultima sillaba) e ossitone (o tronche, quelle, cioè, con l'accento sull'ultima sillaba), tranne quelle terminanti in n. Si segna l'accento tonico su qualsiasi vocale (se si tratta di e e di o, si distingue ovviamente tra vocale aperta e vocale chiusa) anche quando nella parola ricorre una ü atona ed anche sulla i tonica che segue immediatamente la c e la g (es. encìe, magìa) (vedere più avanti per il trattamento di queste due consonanti). 3) S'è deciso di non notare l'accento con valore d'accento grafico per distinguere monosillabi e parole omografe/omofone, semplicemente perché le forme possibili sono più numerose, in alcuni casi, delle variabili grafiche consentite dagli accenti a disposizione, a meno di non ricorrere a macchinosi artifizî. Sarà quindi il contesto a chiarire la forma: es. aa = "alla", "ala", "àia"; me = "io", "me", "mio", "mia", "miei", "mie", "miele". Come si vede, avremmo potuto anche scrivere àa per "alla", ma "ala" ed "àia" non si sarebbero comunque distinte visivamente; peggio ancora per me, e i casi come questi sono numerosissimi. In altre parole: a) L'accento grafico si segna sulla sede diversa dalla penultima; b) Sulla penultima sillaba si segna l'accento grave solamente per indicare il suono aperto della e e della o (quindi, quando nella penultima sillaba figurano una e od una o non accentate significa che hanno suono chiuso); c) Si segna l'accento su qualsiasi sillaba quando nella parola è presente una ü atona e sulla i tonica che segue immediatamente una c ed una g palatali;
d) In pratica, la filosofia ispiratrice è quella di utilizzare il minor numero d'accenti possibile, riducendo così le possibilità d'errori di trascrizione e, nel contempo, facilitando la lettura.Dittonghi e trittonghi Nella valutazione del numero di sillabe d'una parola, per decidere se accentare o meno la tonica, si deve fare attenzione a non farsi fuorviare dalle (false) analogie con l'italiano, nel senso che molti degl'incontri vocalici che avvengono nel dialetto spezzino si producono in séguito a dileguo (caduta) delle consonanti intervocaliche (soprattutto l ed r). In molti dei casi in cui si presentano due vocali contigue che in italiano costituirebbero dittongo si tratta, in realtà, nel dialetto spezzino, di due sillabe distinte, con tutte le conseguenze del caso per l'accentazione. In pratica, per semplificare, nel nostro sistema basta contare fisicamente le vocali e considerarle ad abundantiam tutte sillabe (tranne la i che segue la c e la g e tranne la u che segue la q, che vocali - comunque - non sono). Come detto, nei rari casi in cui la i che segue una c o un g è vocale, reca l'accento.
- La dieresi serve ad indicare il suono velare, o palatale (la cosiddetta "u turbata" o "u francese") della u, e si segna anche sulle sillabe atone. Quando la u velare non è in sede tonica, si segna l'accento tonico sulla parola (es. pümàsso, fügàssa, rümóe.
- Il trattino viene utilizzato per lo spezzino in un unico caso: per indicare la pronunzia della s sorda seguìta dalla c palatale nel nesso s-c (es. mes-ciüa).